di Claudio Rizzi
Una linea nitida ritrae percorso e storia di Pieralberto Filippi. E’ la linea che raccorda persona, personalità e lavoro. Morbida, senza strappi, quasi un affetto maturo, percorre i giorni, congiunge gli anni, intesse raccordo e diviene coerenza.
Nasce spontanea dalla matita, gesso o carbone che sia, assume volume nel primo chairoscuro, diviene corpo e allude alla materia, poi si intride di colore e si avvale di trasparenze e velature, sino a incidere, a segnare e divenire scultura.
Erano al culmine gli anni Sessanta e un giovane Pieralberto Filippi, già avviato ad altro percorso professionale, alimentava una forte attrazione per l’arte. Frequentava, osservava, formulava domande, chiedeva risposte.
Un approccio lento, timido, sinuoso come la linea che non ha mai mutato carattere.
Per anni Filippi era frequentatore all’esterno e pittore nell’intimo delle stanze che via via divenivano atélier.
Il rispetto per l’arte e la consapevolezza di un altro percorso parallelo, la sua professione nel mondo industriale, inducevano al silenzio della riservatezza, alla connivenza del segreto, quasi relazione illecita da vivere in incognito o complesso di colpa dinnanzi alla passione per la pittura.
Anni di lavoro assiduo, richiamo perentorio nonostante la distrazione del tempo, utili e necessari a macerare, maturare, dare voce e certezze.
Non a caso una ampia fase comporta lavori schiettamente figurativi, paesaggi e nature morte. Sono tirocinio, formazione, banchi di scuola. Filippi si sottopone all’esercizio, affina la tecnica e progressivamente libera sentimento e interiorità. Immagini liriche a testimonianza di una visione non oggettiva ma intima.
E’ già insita la prospettiva dell’astrazione, sintesi emotiva, linguaggio evocativo in luogo di narrazione contestuale e figurata.
Negli anni Novanta il gesto di Filippi torna al tratto primordiale, traccia segni e solchi, la linea assume tono e voce di maturità, detta volumi e colori, diviene protagonista di suggestione.
Apparentemente allude e declama simboli ma in realtà si libera e crea. Sinuosità della linea e levigatezza di forme inducono a intuire carezze di pelle e carne in obbligo di erotismo. Ma non è questo un racconto erotico. E’ un canto liberatorio che nell’intensità creativa ritrova il piacere della passione.
Frequentemente la critica ha indugiato nel rilevare contenuti erotici nel lavoro di Filippi ma il rischio consiste nel confondere gli esiti con i fondamenti. In Filippi l’arte è equivalenza o sinonimo di sensualità, è spontanea la corrispondenza, dunque l’esito risulta logico.
Sostenere che il lavoro di Filippi è il ritratto della vita potrebbe generare equivoco e persino interpretazioni di cattivo gusto. Ma sarebbe una metafora per appurare quanto sia autentico il rapporto intimo con l’arte. Invece è iperbole, ma non avulsa, pensare che l’opera di Filippi sia un autoritratto. Confessione aperta di dialogo profondo e radicato rapporto.
L’astrazione cui è approdato Filippi non comporta simboli o dissimulati riferimenti di realtà ma semplicemente, nella dimensione creativa, offre evocative suggestioni destinate ad assumere corpo e significato nella libera interpretazione dell’osservatore.
Come frequentemente avviene, manca una legenda che metta in guardia dall’attenersi ai titoli. Benedetti quegli artisti che titolano “senza titolo” oppure numerano le opere semplicemente per individuazione d’archivio. Invece, altri e molti, Filippi tra questi, si concedono alla tentazione letteraria e affidano al lavoro un titolo che diviene fuorviante per il pubblico ancora troppo avvezzo a ricercare nell’opera una spiegazione logica dunque verbale.
Pittura e scultura non necessitano di alcun apporto letterario, guai se così fosse.
Quando sono pittura e scultura in carne e ossa godono già di anima e corpo. E hanno personalità per dialogare con il pubblico.
Ma questo peccato veniale di Filippi si motiva con la sinuosità della sua linea, non solo espressiva e artistica ma anche esistenziale. Non si tratta di linea retta unidirezionale tesa all’infinito ma anzi, umanamente, volta e rivolta a rileggersi, a confrontarsi, a darsi risposte di conferma dopo aver insinuato il dubbio.
Riconsiderare il percorso passato per legittimare il presente e autorizzare il futuro. E la linea si curva, si volge su se stessa, forse si concede una pacca sulla spalla, si incoraggia e si promuove, poi riparte alla volta di domani.
In questo frangente Filippi torna a rileggere giorni, immagini, memorie; balenano istantanee come accade a tutti, sobbalzano nomi, ricordi, figure. Ecco la letteratura che è bagaglio della vita, ecco i titoli.
Poi Filippi torna alla verità della sua esistenza, ora approdata alla scultura.
Era scritto nella rotta.
La sua pittura delineava volumi e chiedeva realtà. Oggi è corpo e materia. Flessuosa come sinuosa era la linea, palpabile come immaginifiche erano le velature e trasparenze del colore, astratta e suggestiva come il contesto del lavoro.
Morbida eppure robusta, forme armoniche e linee curve, non narra anche se suggerisce elementi antropomorfi che inducono a pensare a umanità in cammino.
E la materia si addolcisce nel colloquio di Filippi, si leviga, si palesa, dichiara l’anima e percorre una strada lunga all’orizzonte.
Alle spalle rimangono timidi segni come pietre miliari ma testimoniano il percorso di una vita.