di Sara Fontana
Segno e volume sono le chiavi per leggere l’arte di Pieralberto Filippi. Risale ai primi anni Novanta il tentativo dell’artista monzese di definire un vocabolario di linee continue e di forme essenziali, potenzialmente volumetriche, e di concertarle con infinite varianti nella pittura e nella scultura, dando vita a strutture dinamiche ed eleganti, arabeschi improntati a una spiccata sensualità.
Queste masse morbide e curve, che chiedono – come vorrebbe l’artista – di essere accarezzate, sono agitate da un vento futurista che favorisce uno scambio continuo tra le due e le tre dimensioni e accentua la scansione ritmica della materia.
Filippi si concentra su volumi densi ed espansi, valendosi esclusivamente di curve e rotondità, e sempre aderendo, più o meno allusivamente, alla figurazione umana. Questa viene contorta e compressa, oppure dilatata ed estroflessa, individuandone i caratteri strutturali ed evidenziandone le possibili metamorfosi in elementi naturali.
Infatti l’ingigantimento di alcuni dettagli conduce ad esiti radicalmente astratti e inoltre suggerisce un’ambigua fusione di componenti umane e vegetali, un’evoluzione della vita verso la natura. Ecco allora la sequenza di paesaggi morbidi e materici, dominati da quella medesima matrice ovale che ha generato tutte le figure.
Al dialogo arioso ed equilibrato tra la forma e lo spazio Filippi affianca, periodicamente, l’effetto di netto contrasto tra una grezza fisicità e una linea pura e ordinata.
Fondamentale, nella pittura, è il ruolo del colore, con la dominanza iniziale di toni blu e bianchi e il graduale inserimento, entro campiture ben definite, di toni squillanti e antinaturalistici: rosso, verde, giallo e arancione.
Nella scultura, invece, il colore è quello dei materiali scelti di volta in volta: pietra, marmo, legno, bronzo patinato e terracotta, oltre al poliuretano dei modelli e alla lamiera dei recenti progetti.
Ora l’opera di Filippi attraversa un’ulteriore maturazione: la pittura tende alla tridimensionalità e all’aggetto, mentre la scultura aspira alla monumentalità e a un dialogo aperto con lo spazio. Non a caso fra le possibili suggestioni verrebbe da citare, oltre ai padri europei della scultura organica (Brancusi, Arp, Moore e il nostro Alberto Viani con le sue “superfici curve continue”), l’astrazione lirica e surreale di Georgia O’Keeffe e le fantasie aeree e primordiali di Calder e di Mirò.